Compravendita: la responsabilità dell'allevatore per le patologie del cane e degli altri animali d'affezione
Nella vendita dei cani e, più in generale, di tutti gli animali d'affezione, tra le diatribe che possono sorgere tra l'allevatore venditore e l'acquirente, frequenti sono quelle relative alle patologie che il cucciolo manifesta dopo la conclusione del contratto, quando ormai si trova presso l'acquirente.
Gli animali, e tra essi i cani e gli altri animali di affezione, sono considerati come beni mobili e assoggettati alle norme del codice civile riguardanti la vendita, nonchè alle norme del codice del consumo.
In particolare è opportuno fare una distinzione tra le ipotesi in cui è applicabile la normativa del D.Lvo n. 206/2005 (c.d. codice del consumo), da quelle in cui è applicabile la disciplina del codice civile, di cui agli artt. 1470 e seguenti. Infatti la disciplina del codice del consumo riguarda le ipotesi in cui l'animale viene venduto da un professionista ad un consumatore. Ai sensi dell'art. 3 del codice del consumo il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (ad esempio chi acquista un cane da compagnia), mentre il professionista è la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario (conseguentemente non tutti gli allevatori sono professionisti).
Qualora uno od entrambi i soggetti coinvolti nella vendita non abbiano la suddetta qualifica le norme di riferimento saranno quelle del codice civile, meno favorevoli nei confronti dell'acquirente.
Innanzitutto, affinchè il venditore possa essere considerato responsabile per una patologia dell'animale venduto è necessario che la stessa sia preesistente alla cessione - o quantomeno devono essere preesistenti le cause scatenanti, ad esempio una malattia genetica - e occulta, ovvero non facilmente percepibile dall'acquirente. Infatti l'art. 1491 del codice civile esclude la garanzia per vizi se questi erano conosciuti o facilmente riconoscibili dall'acquirente (ad esempio un cane privo di un testicolo ecc.), salvo che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.
Nel momento in cui si manifesta la patologia il compratore, per non decadere dalla garanzia, deve denunciare il vizio. La denuncia deve essere effettuata entro otto giorni dalla scoperta del vizio (art. 1495 c.c.), nel caso di applicabilità della disciplina del codice civile, ovvero entro due anni nei casi in cui risulta applicabile la disciplina del codice del consumo (art 133 Cod. Cons.). La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato. Quando è necessaria la denuncia non richiede forme particolari, tuttavia è preferibile, ai fini della prova, utilizzare una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, ovvero la posta elettronica certificata.
Quanto all'eventuale azione giudiziale contro il venditore, la stessa si prescrive entro un anno dalla consegna (art. 1495 c.c.), nel caso di applicabilità della disciplina del codice civile, ovvero entro ventisei mesi dalla consegna nei casi in cui risulta applicabile la disciplina del codice del consumo (art 133 Cod. Cons.).
I rimedi che il legislatore ha concesso all'acquirente nelle ipotesi in cui l'animale risulti affetto da una patologia - sempre che ci sia la responsabilità del venditore - sono la risoluzione del contratto oppure la risoluzione del prezzo. In alcuni casi è possibile, altresì, richiedere il risarcimento del danno come specificheremo in seguito.
Con la risoluzione del contratto il venditore deve restituire il prezzo pagato dal compratore e le spese fatte per la vendita (art. 1493 c.c.), ovviamente il compratore deve restituire l'animale acquistato. Proprio per la circostanza che l'acquirente è tenuto a restituire l'animale venduto, tale rimedio è scarsamente utilizzato nelle ipotesi di vendita di cani o altri animali d'affezione. Più utilizzato nella vendita degli animali d'affezione è la riduzione del prezzo che, come facilmente intuibile, comporta la restituzione in favore dell'acquirente di una parte del prezzo pagato, proporzionata alla gravità della patologia.
I rimedi previsti in favore dell'acquirente sono sostanzialmente analoghi nel codice civile (art. 1492) e nel codice del consumo (art. 135 bis).
Più complesse sono le questioni relative al risarcimento del danno (che molto spesso comprende le spese veterinarie conseguenti alla patologia) in quanto l'art. 1494 del codice civile prevede che il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. Conseguentemente il venditore per esimersi dal risarcire eventuali danni deve dimostrare di aver ignorato la patologia senza colpa.
Per fare un esempio in tema di risarcimento del danno, si può citare la sentenza n. 7285 del 2021 della Corte di Cassazione. Il caso analizzato dalla Corte riguardava l'acquisto di un cucciolo di Akita Inu con grave patologia displasica bilaterale, in relazione alla quale l'acquirente aveva richiesto al tribunale, sia la riduzione del prezzo corrisposto, sia il risarcimento del danno per le spese sostenute per gli interventi chirurgici correttivi della displasia. Il Tribunale adito accoglieva la domanda dell'acquirente, condannando il venditore al pagamento della somma di Euro 440,00 a titolo di riduzione di prezzo, oltre il risarcimento richiesto pari ad € 6.500,00. A seguito dell'impugnazione, la Corte D'Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la riduzione del prezzo di vendita, ma escludeva il risarcimento del danno. Infatti, avendo il consulente nominato dal tribunale affermato che la displasia era una malformazione congenita diagnosticabile a partire dai tre mesi e mezzo o quattro mesi con appositi accertamenti, doveva ritenersi che il cane fosse già affetto dalla malattia al momento della vendita ma che la malattia medesima non si fosse ancora manifestata e che dunque la venditrice, pur consapevole della predisposizione genetica della razza a contrarla, non ne fosse consapevole al momento della vendita. Conseguentemente non spettava il risarcimento per le spese mediche sostenute in quanto mancava il requisito della colpa. La Corte di Cassazione, con la sentenza citata, confermava la decisione della Corte d'Appello.
In ogni caso, in merito al il risarcimento del danno, premesso che è onere dell'allevatore dimostrare di aver ignorato senza colpa la patologia e che se non fornisce tale prova sarà responsabile anche dei danni, a parere di chi scrive il del venditore per cercare di essere esonerato da responsabilità dovrà comunque dimostrare che non sono stati utilizzati per l'accoppiamento cani portatori o affetti dalla patologia genetica, e dovrà dimostrare di aver adottato tutte le strategie di allevamento volte a scongiurare la comparsa di patologie genetiche; ciò al fine di far ritenere che quest'ultima sia del tutto casuale.
Infine, nei casi in cui risulta applicabile il codice del consumo, la disciplina del risarcimento del danno è identica in virtù del richiamo contenuto nell'art. 135 septies alle norme del codice civile.